CHIRURGIA PROTESICA SINGLE-INCISION DEL RETTOCELE DI GRADO ELEVATO: FOLLOW-UP A 12 MESI

Antonio Onorato Succu, Gian Franco Puggioni, Antonio Campiglio, Giovanni Maricosu
Dipartimento di Cure Chirurgiche, Unità Operativa complessa Ostetricia e Ginecologia, Ospedale San Martino – Azienda Sanitaria di Oristano – Via Fondazione Rockfeller, 09170 Oristano

Topic: trattamento chirurgico del prolasso vaginale.

Scopo. Il prolasso dell’utero e della vagina è di solito il risultato della perdita del supporto pelvico e causa in genere dei sintomi non specifici. Può interessare circa la metà delle donne tra i 50 e i 59 anni e si può verificare anche una regressione spontanea soprattutto nei gradi meno severi. Il rischio di questa patologia aumenta con l’età, la parità e in caso di pregressi nati macrosomi. Il rettocele deriva da difetti di integrità del setto retto-vaginale ed erniazione della parete rettale nel lume vaginale1,2. Scopo di questo lavoro è rivedere criticamente, anche alla luce della letteratura internazionale, la nostra personale esperienza riguardo la correzione chirurgica del prolasso vaginale posteriore (rettocele) di grado elevato, con tecnica protesica, attraverso l’impianto di una mesh in polipropilene ancorata ai legamenti sacro spinosi, in termini di efficacia nel ripristino anatomo-funzionale del profilo vaginale posteriore e di sicurezza, in termini di frequenza di complicanze intra- e postoperatorie.
Materiali e metodi. Abbiamo trattato con tecnica protesica 12 donne affette da prolasso vaginale posteriore (rettocele) di grado elevato. In tutti i casi vi era un isterocele associato e si è preferito, dopo aver accertato la coesistenza di altre patologie uterine, conservare l’utero. Questo fatto ha tra l’altro consentito di fissare con punti non riassorbibili la mesh alla cervice uterina adeguatamente preparata. Il follow-up medio è stato di 12 mesi e le pazienti sono state seguite e riviste periodicamente presso il nostro centro di riferimento di uroginecologia e di patologia del pavimento pelvico dell’Ospedale S. Martino di Oristano. End point primario era l’obiettivo successo della chirurgia definito dall'assenza di POP-Q stadio 2 o maggiore 12 mesi dopo l'intervento. End point secondari sono stati i sintomi, i parametri sulla qualità della vita ed anche la soddisfazione della paziente con questa chirurgia dopo 12 mesi. Sono state anche segnalate le complicazioni della chirurgia protesica eseguita. Riguardo la tecnica si è eseguita una incisione a tutto spessore dell’epitelio vaginale sulla linea mediana. Quindi si è proceduto alla dissezione dell’epitelio vaginale dal sottostante tessuto pre-rettale. La dissezione continua lateralmente su ciascun lato fino ai muscoli elevatore dell'ano. Sulla volta vaginale, la dissezione, attraverso le colonne del retto, raggiunge le spine ischiatiche e il legamento sacrospinoso. La mesh è stata disposta sopra il tessuto pre-rettale ed ancorata attraverso i tunnel creati dalla dissezione sui legamenti sacrospinosi. In tutte le pazienti è stato conservato l’utero. Tutte le pazienti hanno ricevuto una profilassi con doppio antibiotico per tutta la durata della degenza per via parenterale (una cefalosporina più un amino glicoside); lo zaffo vaginale e il catetere vescicale sono stati rimossi dopo 48 ore dall’intervento. La dimissione è avvenuta in terza giornata post intervento.
Risultati. L’analisi dei dati operatori riferiti a questa coorte non ha evidenziato complicanze intraoperatorie. Le perdite ematiche sono state sempre trascurabili e anche la ripresa della funzionalità intestinale rapida. In un follow-up medio di 12 mesi abbiamo riscontrato un ripristino anatomo funzionale del profilo vaginale posteriore molto buono. Occorre tuttavia un periodo di osservazione prolungato per chiarire meglio la reale efficacia di questo approccio chirurgico. I risultati del pur breve tempo di osservazione suggeriscono la fattibilità dell’intervento di riparazione del difetto vaginale posteriore con mesh monoincision. Non si sono registrati casi di erosione vaginale, di esposizione o dislocazione della rete. Non abbiamo osservato complicanze come dispareunia e i questionari sulla qualità di vita a 12 mesi di distanza temporale dall’intervento chirurgico hanno evidenziato un punteggio buono e una soddisfazione personale adeguata. A distanza di 12 mesi non si sono verificate ricorrenze di prolasso vaginale posteriore.
Conclusioni. Non si tratta di uno studio comparativo tra due approcci chirurgici, per esempio confronto tra tecnica protesica e riparazione fasciale (plicatura fasciale mediana) quindi obiettivo dello studio era valutare in una coorte selezionata per la severità del prolasso posteriore (III e IV grado) e per la presenza contemporanea di un prolasso centrale, la fattibilità e il tasso di cura della correzione del profilo vaginale posteriore/centrale con posizionamento di mesh mediante tecnica single incision. Riteniamo perciò che ci sia ancora ampio spazio anche per le tecniche chirurgiche di riparazione fasciale nella correzione del prolasso vaginale posteriore1. E’ importante selezionare le pazienti cui proporre l’impianto della rete che riteniamo vada riservata ai casi più severi di prolasso e ai casi recidivanti. La nostra esperienza chirurgica nella correzione del prolasso vaginale posteriore con mesh single incision è tuttavia rassicurante e merita di essere approfondita eventualmente attraverso un studio prospettico controllato di confronto con la tecnica fasciale. Inoltre uno studio di efficacia richiede senz’altro un tempo molto maggiore di osservazione per dire qualcosa di più sul ruolo della chirurgia protesica monoincision anche sul compartimento vaginale posteriore.

Bibliografia

  1. Karram M, Maher C. Surgery for posterior vaginal wall prolapse. Int Urogynecol J. 2013 Nov;24(11): 1835-41.
  2. Pollak J, Davila GW. Rectocele repair: the gynecologic approach. Clin Colon Rectal Surg 2003;16:61–69.